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Valorizzare le differenze in azienda: i trend del lavoro

Dicembre 21, 2024

Valorizzare le differenze per ambienti di lavoro più inclusivi

All’interno dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta dai 193 Paesi membri delle Nazioni Unite (di cui l’Italia fa parte), il 17esimo obiettivo fa riferimento alla volontà di incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva, un lavoro dignitoso per tutti, donne, uomini, giovani e persone con disabilità.

Il tema della diversità e dell’inclusione, seppur con fatica, ha negli ultimi anni raggiunto una certa rilevanza. Eppure, non è ancora possibile dire che i gap di genere, di età e relativi a situazioni di disabilità, siano stati concretamente colmati.

Un primo punto da considerare per il futuro, come afferma Mariano Corso, è che occorre andare oltre il binomio diversity & inclusion, per aprirsi a una visione più ampia di “valorizzazione od orchestrazione delle differenze, della varietà”. Il termine “Diversity”, infatti, fa riferimento al concetto di diversità e rimanda all’idea  di “devianza”. Un’idea che presuppone l’esistenza di una condizione di normalità e di qualcosa che rispetto a questa devia.

Inclusion”, invece, significa includere ossia “chiudere in un recinto”.

Insieme, Diversity & Inclusion, rimandano alla necessità di riconoscere l’esistenza di persone che deviano dalla normalità, la cui presenza sarebbe da destinare a uno spazio diverso da quello occupato dai “normali”. 

Al contrario, le aziende dovrebbero puntare a favorire la diversità, riconoscendo l’individualità di ognuno nei team di lavoro e fra le proprie risorse.

Ma a dispetto dei buoni propositi, quali sono i gap che ancora oggi continuano a caratterizzare il mondo del lavoro e le aziende?

Il Gap di genere e dell’orientamento sessuale

Nel 2019 quasi tre milioni di donne ricoprivano ruoli di responsabilità nelle imprese italiane, raggiungendo il 26,7% delle posizioni apicali totali. Proprio in questo periodo, si inizia quindi a parlare di “SHE economy”, a dimostrazione del progresso economico delle donne nel mondo del lavoro.

Quello del Gender gap, però, rimane ancora oggi un tema molto dibattuto e soprattutto irrisolto. Anche i dati sono chiari: nella classifica sull’ampiezza del divario di genere in tutto il mondo realizzata dal WEF, l’Italia conferma la sua 71esima posizione. Sembrava infatti ci si stesse avvicinando a un traguardo, quando l’arrivo della pandemia ha ribaltato nuovamente lo scenario: solo nel 2020, tra i 120 milioni di posti di lavoro persi, il 55% era occupato dalle donne.

Non solo, analizzando la situazione lavorativa a livello mondiale, emerge il fatto che ci vorranno più di 270 anni per superare la disparità salariale e 132 anni per colmare totalmente il gap di genere.

Oltre al tema relativo alle disparità legate al sesso, anche quello dell’identità e dell’orientamento sessuale divengono punto focale. Rispetto a questi temi, ancora oggi, nel contesto aziendale, le persone si sentono diverse e vittime di pregiudizi. Tuttavia, i trend raccontano di nuove generazioni, pronte a entrare nel mondo del lavoro, sempre meno inclini a essere categorizzate entro una precisa identità di genere.

Entro il 2025, la Gen Z ricoprirà il 27% delle posizioni lavorative all’interno delle imprese. E sarà una generazione che pretenderà sempre di più dal proprio datore di lavoro in materia di diversità e inclusione, e di sostegno ai movimenti Lgbtq+. Attualmente, la difficoltà più grande in relazione all’identità di genere e all’orientamento sessuale è legata alla presenza di tabù che faticano ad attenuarsi. Se per la maggior parte dei Millennials e Gen Z, l’identità in campo sessuale è una scelta totalmente libera, le generazioni precedenti, ancora centrali nei processi decisionali, sono fortemente influenzate da condizionamenti sociali.

Un cambio di rotta sull’orientamento sessuale si potrà avere, quindi, solo a fronte di un netto cambiamento culturale. La comunicazione stessa dovrà abbracciare questo nuovo trend, ad esempio attraverso l’utilizzo di pronomi differenti o di modalità comunicative ibride e non categorizzanti.

Un esempio virtuoso da cui prendere spunto è quello di Mastercard, che ha deciso di introdurre un programma dedicato a transgender e persone non binarie, per permettergli di inserire sulle carte di credito il proprio nome, anche se non riconosciuto legalmente.

Il gap dell’età 

L’età media dei dipendenti è ormai destinata a crescere. La popolazione aziendale sarà sempre più caratterizzata dai cosiddetti “boomer” e le competenze delle risorse potrebbero non essere più adeguate al rapido cambiamento del tessuto socioeconomico.

Al tempo stesso, il concetto di età anagrafica andrà sempre di più ad assottigliarsi, per lasciare spazio a una visione più ampia, quella di “ageless”, ossia di “senza età”.

In relazione a questo crescente trend, la sfida attuale per le aziende sarà quella di comprendere come sia possibile garantire ai lavoratori più anziani le stesse possibilità di accesso a opportunità di up-skilling e di re-training.  In questi contesti gioca un ruolo fondamentale la formazione continua, basata sulla cultura del life-long learning, che permetta a tutti i dipendenti di sviluppare il proprio potenziale durante l’intero corso della vita lavorativa.

Il gap della dis-abilità 

Non solo genere, orientamento sessuale ed età. Il perimetro su cui agire è molto più ampio: anche nel mondo del lavoro, sta emergendo sempre di più una forte sensibilità verso il tema della disabilità fisica, psichica e della neurodiversità.

Per questo, si parla e si parlerà ormai sempre più spesso di accessibilità e di come le aziende possano adattare le scelte di design dell’ambiente e di comportamento, per aiutare le persone a passare dall’essere dis-abili ad abili nel fare qualcosa.

Vale quindi la pena chiedersi se la propria azienda sia davvero accessibile, quanto sia fattibile per una persona con una specifica disabilità raggiungere determinate posizioni professionali e come svincolare le professioni dalla fisicità che le caratterizza, per consentire a tutti di lavorare nella stessa maniera.

L’obiettivo, da qui al futuro, è quindi quello di ripensare gli spazi di lavoro e i processi, per evitare di creare situazioni di svantaggio.

Conclusione

I trend dimostrano una propensione sempre maggiore nel pensare a un futuro che valorizzi la diversità, anche a livello lavorativo. Procedendo in questa direzione, è fondamentale comprendere cosa potremmo fare a livello aziendale per favorire un ambiente inclusivo, poiché è il contesto a dover cambiare e non la persona a doversi adattare all’impresa.

Al tempo stesso, è essenziale valutare la cultura della propria organizzazione, per comprendere a pieno quali sono i temi su cui questa potrebbe essere davvero pronta a lavorare fin da subito e perché.

Qual è la cultura aziendale? Che cosa è utile per la propria azienda? Quali sono i valori e le possibilità dell’organizzazione?  Con chi si sta parlando? Quali sono le sensibilità maggiori?

Non esistono regole standardizzate su ciò che un’azienda deve o non deve fare, tutto è da valutare a seconda del contesto e da tenere in considerazione in vista dei processi di talent acquisition & development.

Se vuoi scoprire tutti i trend del mondo del lavoro, iscriviti e accedi ai webinar “The future of workforce 2021-2025” by Fractals!

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